L’OCCUPAZIONE DI IMMOBILI SENZA TITOLO

 

Qualora si venga privati della possibilità della regolare fruizione di un immobile ad opera di un terzo che non ne abbia titolo alcuno, si profila il diritto a promuovere un’azione civile per chiedere la condanna al rilascio ovvero alla restituzione.

In particolare, due sono le ipotesi che possono prospettarsi.

La prima – c.d. occupazione sine titulo in senso stretto – è rappresentata dal caso in cui un terzo occupi e goda del tutto arbitrariamente dell’unità immobiliare, in assenza di alcun titolo in suo favore.

La seconda si verifica allorché tra proprietario e terzo sia stato effettivamente stipulato un contratto tale da legittimare quest’ultimo a disporre del bene ma detto contratto abbia successivamente terminato di produrre effetti, come avviene nell’ipotesi di mancata restituzione dell’immobile locato a seguito della scadenza del contratto di locazione concluso.

Da tale distinzione discendono rilevanti effetti in ordine al rito applicabile.

Ed invero, in assenza ab origine di un titolo sarà necessario agire attraverso un ordinario giudizio di cognizione ovvero promuovere un ricorso secondo lo speciale rito sommario di cui all’art 702 bis c.p.c.

Qualora, invece, l’azione per il rilascio venga promossa nei riguardi del conduttore che alla scadenza non abbia restituito l’immobile, la lite ricadrà nell’ambito di applicazione del rito locatizio.

Oltre a legittimare l’azione per il rilascio, l’occupazione senza titolo – in entrambe le ipotesi prospettate – legittima il proprietario a richiedere il risarcimento del danno patito.

Per quanto attiene alla stima del danno da occupazione sine titulo in senso stretto, si registra un risalente contrasto nella giurisprudenza di legittimità.

Secondo un primo orientamento, in caso di occupazione senza titolo di un immobile altrui, il danno patito dal proprietario sarebbe in re ipsa.

Questo orientamento si fonda sull'assunto che il diritto di proprietà ha insita in sé le facoltà di godimento e di disponibilità del bene che ne forma oggetto: sicché, una volta soppresse tali facoltà per effetto dell'occupazione, l'esistenza di un danno risarcibile può ritenersi sussistente sulla base di una praesumptio hominis, superabile solo con la dimostrazione concreta che il proprietario, anche se non fosse stato spogliato, si sarebbe comunque disinteressato del suo immobile e non l'avrebbe in alcun modo utilizzato.

Per quanto attiene, poi, alla concreta stima del danno, l'orientamento in esame ritiene che questa possa avvenire anche facendo riferimento al cosiddetto danno "figurativo", vale a dire al valore locativo dell'immobile occupato (in tal senso si sono pronunciate Sez. 3, Sentenza n. 9137 del 16/04/2013, Rv. 626051; Sez. 2, Sentenza n. 14222 del 07/08/2012, Rv.623541; Sez. 2, Sentenza n. 5568 del 08/03/2010, Rv. 611644; Sez. 3, Sentenza n. 3251 del 11/02/2008, Rv. 601677; Sez. 3, Sentenza n. 10498 del 08/05/2006, Rv. 591331; Sez. 3, Sentenza n. 827 del 18/01/2006, Rv. 587382; Sez. 2, Sentenza n. 649 del 21/01/2000, Rv.533031; Sez. 2, Sentenza n. 1373 del 18/02/1999, Rv. 523352).

Secondo un diverso orientamento, invece, il danno da occupazione abusiva in senso stretto non può ritenersi sussistente in re ipsa, né coincidere col mero fatto dell'occupazione.

Invero, l'occupazione non è il danno, ma la condotta produttiva del danno.

Pertanto il danneggiato che chieda il risarcimento del pregiudizio causato dall'occupazione sine titulo è tenuto a provare di aver subito un'effettiva lesione del proprio patrimonio per non aver potuto locare o altrimenti direttamente e tempestivamente utilizzare il bene, ovvero per aver perso l'occasione di venderlo a prezzo conveniente o per aver sofferto altre situazioni pregiudizievoli, con valutazione rimessa al giudice del merito, che può al riguardo avvalersi anche della prova presuntiva (in questo senso si sono pronunciate Sez. 3, Sentenza n. 15111 del 17/06/2013, Rv. 626875; Sez. 3, Sentenza n. 378 del 11/01/2005, Rv.579772).

Precisato quanto sopra, si dà atto che trattasi di contrasto giurisprudenziale tutt’ora irrisolto.

Nella diversa ipotesi di ritardata consegna dell’immobile locato dopo la scadenza del contratto, troverà invece applicazione la disciplina di cui all'art. 1591 c.c. ai sensi del quale “il conduttore in mora a restituire la cosa è tenuto a dare al locatore il corrispettivo convenuto fino alla riconsegna, salvo l’obbligo di risarcire il maggior danno”.

Se da un lato l'obbligo di pagare il corrispettivo convenuto sino alla riconsegna del bene locato deve considerarsi una forma di risarcimento minimo previsto dalla legge per la mancata disponibilità dell'immobile a prescindere dalla prova di un danno concreto subito dal locatore, l'obbligo di risarcire il maggior danno presuppone, invece, la prova di una effettiva lesione del patrimonio.

Invero, l’orientamento della Suprema Corte è nel senso che il maggior danno di cui all’art. 1591 c.c. deve essere concretamente provato dal locatore, essendo il mero fatto del ritardo elemento idoneo a legittimare solo una condanna generica al risarcimento.

Sul punto, la Suprema Corte – sentenza 26/10/2012 n° 18499 – ha recentemente avuto modo di precisare che la responsabilità del conduttore per ritardata consegna dell’immobile locato abbia natura contrattuale con la conseguenza che il locatore, in applicazione del principio di cui all’art. 1218 c.c., deve provare la lesione del suo patrimonio, consistente nel non avere potuto dare in locazione il bene per un canone più elevato o nella perdita di occasioni di vendita ad un prezzo più vantaggioso o di altre analoghe situazioni favorevoli.

Detta prova, secondo la Cassazione, “deve avere il carattere della rigorosità sia in ordine alla sua sussistenza che al suo concreto ammontare sul presupposto che l’obbligo risarcitorio non sorge anteriormente in base al valore locativo presumibilmente riconoscibile dall’astratta configurabilità dell’ipotesi di locazione o vendita del bene, ma va accertato in relazione alle concrete condizioni e caratteristiche dell’immobile stesso, alla sua ubicazione, alla sua possibilità di utilizzo, onde fare emergere il verificarsi di una lesione patrimoniale effettiva e reale nel patrimonio del locatore, dimostrabile attraverso la prova di ben precise proposte di locazione o di acquisto ovvero di altre concrete offerte di utilizzazione”.

Si è tuttavia aggiunto che il locatore, nel fornire la prova di tale maggior danno, possa avvalersi di elementi presuntivi dotati dei requisiti previsti dall'art. 2729 c.c., avendo peraltro presente che la carenza di specifiche proposte di locazione relative a quell’immobile è obiettivamente giustificabile  proprio alla luce della persistente occupazione del bene da parte del conduttore, successivamente alla scadenza del rapporto.

 

In fede Dott.ssa Silvia Di Nunzio

 

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