VADEMECUM: LE LITI ATTIVE E PASSIVE DEL CONDOMINIO

 

In relazione alle parti comuni dello stabile possono sorgere dei contenziosi che giungono davanti all’Autorità Giudiziaria.

Quando è il condominio a promuovere l’azione legale si parlerà di liti attive; viceversa, quando il condominio sarà chiamato a difendersi dalle pretese avanzate da terzi parleremo di liti passive.

I soggetti contraddittori del condominio, in entrambi i casi, potranno anche essere i condomini.

Le disposizioni normative alle quali occorre fare riferimento sono gli artt. 1130 e 1131 c.c., che, rispettivamente, disciplinano le attribuzioni dell’amministratore e la rappresentanza del condominio da parte dell'amministratore.

Dal testo dell’art. 1131 c.c. si desume che il potere di rappresentanza dell’amministratore sia contenuto nei limiti delle attribuzioni previste dall'art. 1130 c.c., ossia si riferisce alle parti e ai servizi comuni, nonché alle controversie riguardanti i beni comuni.

In particolare, all’amministratore del condominio compete l'esecuzione delle deliberazioni dell'assemblea e, in genere, l’attività di ordinaria amministrazione inerente alle attribuzioni previste dall'art. 1130 c.c.. 

Nei limiti di tali attribuzioni, ovvero dei maggiori poteri eventualmente conferitigli dal regolamento di condominio o dall'assemblea, l’amministratore ha la "rappresentanza" dei condomini e può stare in giudizio sia per essi contro terzi, sia contro alcuno di essi per tutti gli altri (art. 1131, commi 1 e 2 c.c.).

Il sistema che si delinea consiste, pertanto, nel separare le situazioni di carattere condominiale da quelle di carattere individuale del singolo condomino e soltanto in ordine alle prime l’amministratore è legittimato ad esercitare le funzioni di rappresentanza, pur essendo ammissibile un intervento dell’amministratore altresì per la tutela degli interessi esclusivi del singolo condomino, purché costui conferisca espressa procura in tal senso.

Ne consegue come l’amministratore abbia il potere di rappresentanza processuale del condominio nei limiti delle sue attribuzioni, essendo tenuto a richiedere l’espressa autorizzazione dell'assemblea in tutti gli altri casi.

E’ il caso, ad esempio, delle azioni reali che, essendo dirette a ottenere accertamenti relativi alla titolarità ed al contenuto dei diritti individuali, non rientrano tra gli atti meramente conservativi e, quindi, possono essere promosse dall'amministratore solo su autorizzazione dell'assemblea.

In questi casi i quorum richiesti sono: maggioranza degli intervenuti all’assemblea ed almeno 500 millesimi (art. 1136, quarto comma, c.c.). [1]

Una volta iniziata l’azione, e fatte salve le transazioni o altre cause di estinzione della lite, si dovrà ritenere l’amministratore legittimato ad agire in tutti i gradi di giudizio.

Fermo restando quanto sopra, si segnala come nelle liti attive sia comunque buona regola per l’amministratore richiedere la preventiva autorizzazione dell’assemblea, e ciò indipendentemente dall’interesse di cui si intende domandare tutela.

Quanto alla legittimazione processuale passiva dell’amministratore, il 2° co. dell’art. 1131 c.c.  prevede che l'amministratore possa essere convenuto in giudizio per qualunque azione, sia essa di natura reale sia essa di natura personale.

Trattasi di deroga alla disciplina valida per tutte le altre ipotesi di pluralità di soggetti passivi, che soccorre all’esigenza di rendere più agevole ai terzi la chiamata in giudizio del condominio, senza la necessità di promuovere il litisconsorzio passivo nei confronti dei condomini.

Quanto ai limiti della legittimazione passiva, l’orientamento maggioritario della giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione ha interpretato estensivamente il dettato normativo, affermando che "la rappresentanza processuale dell’amministratore del condominio dal lato passivo, ai sensi del secondo comma dell’art. 1131 c.c., non incontra limiti quando le domande proposte contro il condominio riguardano le parti comuni dell’edificio" (Cass. n. 8286 del 2005).[2]

Alla luce di questo orientamento i commi terzo e quarto dell’art. 1131 c.c., che prevedono un diverso comportamento in caso di atti esorbitanti le attribuzioni dell’amministratore, vedono notevolmente ridotto il loro campo applicativo.

In ogni caso, anche nelle liti passive, è buona norma che ogni qual volta gli venga notificato un atto giudiziario o un provvedimento amministrativo, l’amministratore predisponga tutte le più opportune difese e, contestualmente, convochi nel più breve tempo possibile un’assemblea al fine di far prendere le decisioni ritenute più opportune.

Avv. Giorgia Colombo

 

[1] “L'amministratore del condominio, essendo tenuto a curare l'osservanza del regolamento condominiale, ai sensi del comma 1 dell'art. 1130 c.c., è legittimato ad agire e a resistere in giudizio per ottenere che un condomino non adibisca la propria unità immobiliare ad attività vietata dal regolamento condominiale contrattuale, senza la necessità di una specifica deliberazione assembleare assunta con la maggioranza prevista dall'art. 1136, comma 2, c.c., richiesta soltanto per le liti attive e passive esorbitanti dalle incombenze proprie dell'amministratore stesso.” (Cass. civ. Sez. II, 16-02-2017, n. 4183)

[2] “Premessa la legittimazione passiva dell'amministratore per qualunque azione abbia ad oggetto parti comuni dello stabile condominiale, l'individuazione della natura del bene controverso deve avvenire tenendo conto che l'art. 1117 c.c. contiene un'elencazione non tassativa ma solo esemplificativa delle cose comuni, essendo tali, salvo risulti diversamente dal titolo, anche quelle aventi un'oggettiva e concreta destinazione al servizio comune di tutte o di una parte soltanto delle unità immobiliari di proprietà individuale.” (Cass. civ. Sez. II, 05-01-2017, n. 133)

 

Avv. Giorgia Colombo - 

 

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