Diritto Immobiliare

23 MAGGIO 2023, ore 16:00 - Società Umanitaria, Sala Facchinetti - Via San Barnaba 48, Milano

 

PRESIEDE E MODERA

Prof. Avv. Giovanni Iudica, Professore Emerito di Diritto Civile, Università L. Bocconi, Presidente ISCL

 

INTERVENGONO:

Super bonus 110%: ascesa e declino - le ultime novità

Avv.ti Giorgia Colombo e Corrado Demolli dello Studio DDC Studio Legale & Tributario

 

Le criticità dal punto di vista delle imprese 

Avv. Francesco Lombardo e Ing. Massimo Colombo di ANCE (Associazione Nazionale Costruttori Edili) - Varese

 

I bonus edilizi e la crisi delle imprese coinvolte

Prof. Avv. Andrea Mora, Professore ordinario di Diritto Civile, Università di Modena e Reggio Emilia, Founder Studio Legale Mora

Avv. Davide Della Zoppa, Partner Studio Legale Mora

 

Funzione delle agevolazioni fiscali in edilizia. Il passaggio dal concetto di ristrutturazione a quello di riqualificazione

Arch. Ladislao Balbiani, Co-founder Studio Ideàs S.r.l.

 

Direttiva UE sulle riqualificazioni energetiche. Nuove prospettive di riforma, anche di rilevanza costituzionale

Prof. Pasquale Pantalone, Ricercatore Università degli Studi di Milano

 

CONCLUDE

Avv. Roberto Panetta, Segretario Generale ISCL, Founder Panetta Law Firm

 

Flyer Convegno ISCL 23 maggio 2023 page 0001

 

30 aprile 2021

Dopo l’arresto del 2005 (Cass. civ. Sezioni Unite n. 4806/2005), la Suprema Corte interviene nuovamente a Sezioni Unite sul delicato tema delle cause di invalidità delle delibere condominiali e lo fa con la pronuncia n. 9839 del 14.04.2021.
Due le questioni di particolare interesse.
La prima riguarda la possibilità o meno di far valere l’eventuale invalidità delle delibere in sede di opposizione a decreto ingiuntivo.
La seconda concerne la natura del vizio di nullità ovvero di annullabilità delle delibere che modificano i criteri di riparto delle spese in deroga a quelli legali e/o convenzionali.
Partendo dalla prima, è stato chiarito che il Giudice possa sindacare in sede di opposizione a decreto ingiuntivo la nullità della delibera, dedotta dalla parte o rilevata d’ufficio, e altresì la annullabilità della stessa, a condizione che quest’ultima sia dedotta in via di azione, mediante apposita domanda riconvenzionale di annullamento contenuta nell’atto di citazione in opposizione ai sensi dell'art. 1137 co 2 c.c., nel termine perentorio ivi previsto, e non in via di eccezione, che, di fatto, paralizzerebbe solo la domanda altrui senza sollecitare la cancellazione della delibera, portando a un risultato "in contrasto con le esigenze di funzionamento del condominio" e rendendo nel caso di riparto delle spese "impossibile la gestione della contabilità".
La ratio sottesa è da rinvenirsi nella natura del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, a cognizione piena, che non limita il potere del giudice di entrare nel merito delle questioni attinenti la legittimità delle contestazioni inerenti le delibere condominiali, purché le stesse siano fatte valere nel rispetto delle regole specifiche dettate dal legislatore.
Quanto al riparto delle spese, la Suprema Corte ha ribadito i principi sanciti nel 2005, ritenendo, tuttavia, che la categoria della nullità debba avere una estensione del tutto residuale rispetto alla generale categoria della annullabilità, attenendo essa a quei vizi talmente radicali da privare la deliberazione di cittadinanza nel mondo giuridico.
Nel caso delle deliberazioni aventi ad oggetto il riparto delle spese, la Suprema Corte ha stabilito che quando l’assemblea adotti una deliberazione nell’ambito delle proprie attribuzioni, ma eserciti malamente il potere ad essa conferito e quando essa adotti una deliberazione violando la legge, ma senza usurparne i poteri riconosciuti dall’ordinamento ad altri soggetti giuridici: in tali casi la deliberazione “contraria alla legge” dovrà intendersi semplicemente annullabile secondo la regola generale posta dall’art. 1137 c.c.
Ciò in quanto l'Assemblea ha sì il potere di trattare questioni sostanziali che possono incidere sui diritti dei singoli e di applicare i criteri di riparto delle spese, ma non può modificare i suddetti criteri. Il mero errore commesso dall'Assemblea non costituisce modifica, ma vale, secondo la Corte di Cassazione, quale esercizio scorretto del suo potere.
Quale corollario, le deliberazioni in materia di ripartizione delle spese condominiali sono nulle per “impossibilità giuridica” dell’oggetto ove l’assemblea, esulando dalle proprie attribuzioni, modifichi i criteri di ripartizione delle spese, siano essi stabiliti dalla legge ovvero in via convenzionale da tutti i condomini, da valere – oltre che per il caso oggetto della delibera – anche per il futuro; mentre sono semplicemente annullabili nel caso in cui i suddetti criteri vengano soltanto violati o disattesi nel singolo caso deliberato.
Trattasi di decisione che mira a garantire la certezza dei rapporti giuridici di una entità così complessa quale il Condominio, prevedendo una sorta di favor per la stabilità delle delibere condominiali, da ritenersi valide finché non rimosse dal giudice, in linea con il disposto dell’art. 1137 c.c. che prevede soltanto l’azione di annullamento delle delibere.
Ad oggi, devono considerarsi affette da nullità le deliberazioni dell'assemblea dei condomini che mancano ab origine degli elementi costitutivi essenziali, quelle che hanno un oggetto impossibile in senso materiale o in senso giuridico e quelle che hanno un contenuto illecito, ossia contrario a "norme imperative" o all''ordine pubblico" o al "buon costume". Al di fuori di queste ipotesi, le deliberazioni assembleari adottate in violazione di norme di legge o del regolamento condominiale sono semplicemente annullabili e l'azione di annullamento deve essere esercitata nei modi e nei termini di cui all'art. 1137 cod. civ.
Si resta a disposizione per ulteriori chiarimenti e precisazioni.

 

Avv. Giorgia Colombo


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All'assemblea condominiale devono essere convocati gli aventi diritto ad intervenirvi ed a votare: tale principio, sancito dagli artt. 1136, comma 6, c.c. e 66, comma 3, disp. att. c.c., è alla base della disciplina condominiale, che individua nella preventiva e corretta convocazione di tutti gli aventi diritto un requisito essenziale per la validità della deliberazione.

Ma sussiste sempre il diritto del singolo condomino a partecipare all’assemblea oppure, a seconda dei punti inseriti all’ordine del giorno, può essere legittimamente esclusa la sua convocazione e partecipazione?

Alla questione ha dato recentemente risposta la Corte di Cassazione, che, con l’ordinanza n. 3192/2023, ha riconosciuto che, in particolari situazioni, non sussiste il diritto del singolo a partecipare all’assemblea.

 

- PROMOVIMENTO O PROSECUZIONE DI UNA CONTROVERSIA TRA CONDOMINIO E CONDOMINO

In primis, il diritto del singolo a partecipare all’assemblea viene meno quando la compagine venga convocata per approvare “il promovimento o la prosecuzione di una controversia giudiziaria tra il condominio e un singolo condomino”. In tal caso, difatti, il condomino in contrasto con il resto della compagine può essere legittimamente escluso, per due ragioni:

- in quanto “portatore unicamente di un interesse contrario a quello rimesso alla gestione collegiale”;

- perché l’ordinamento nostrano non contempla un diritto alla convocazione per la sola fase preparatoria della riunione – ovvero quella precedente alla votazione – essendo la discussione assembleare “finalizzata a portare a conoscenza degli altri presenti le ragioni del proprio voto di assenso o dissenso sull’argomento contenuto nell'ordine del giorno”.

Pertanto, in tali casi, a causa del particolare oggetto della deliberazione, la compagine condominiale viene a scindersi in due gruppi come “avviene altresì in situazioni di condominio parziale, ragion per cui si modifica la stessa composizione del collegio e delle maggioranze (arg. da Cass. Sez. 2, 27/09/1994, n. 7885)”.

 

- CONDOMINIO PARZIALE “EX LEGE”

Come sottolineato nella sentenza in esame, il diritto del singolo di partecipare all’assemblea viene meno anche quando oggetto della delibera è un bene di cui il condomino non può usufruire o godere, in quanto oggettivamente destinato al servizio e/o al godimento di una parte soltanto del fabbricato.

Secondo la giurisprudenza, in siffatte ipotesi, è automaticamente configurabile la fattispecie del condominio parziale "ex lege": ed invero, tutte le volte in cui un bene risulti, per le sue oggettive caratteristiche strutturali e funzionali, destinato al servizio e/o al godimento, in modo esclusivo, di una parte soltanto dell'edificio, esso rimane oggetto di un autonomo diritto di proprietà, venendo in tal caso meno il presupposto per il riconoscimento di una contitolarità necessaria di tutti i condomini su quel bene (Cass. Sez. 2, 24/11/2010, n. 23851; Cass. Sez. 2, 17/06/2016, n. 12641). A tale parziale attribuzione della titolarità delle parti comuni corrispondono conseguenze di rilievo per quanto attiene alla gestione nonché all'imputazione delle spese. “Relativamente alle cose, di cui non hanno la titolarità, per i partecipanti al gruppo non sussiste il diritto di partecipare all'assemblea, dal che deriva che la composizione del collegio e delle maggioranze si modifica in relazione alla titolarità delle specifiche parti oggetto della concreta delibera da adottare” (cfr., ex multis, Cass. Sez. 2, 27/09/1994, n. 7885; Cass. Sez. 2, 02/03/2016, n. 4127; Cass. Sez. 2, 17/06/2016, n. 12641).

Quale corollario di quanto sopra, viene meno altresì la legittimazione del condomino escluso a domandare l'annullamento della delibera per omessa, tardiva o incompleta convocazione.

 

Dott.ssa Mariachiara Ceriani 

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31.03.2021

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Questa immagine è rappresentativa delle nostre città. Un insieme di strade vicoli parchi (spesso purtroppo pochi rispetto alle aree costruite) case e condomini di piccole medie e (soprattutto nelle grandi città) grandi dimensioni, ovvero di quelli che in termine generico ma tecnico si chiamano beni immobili.
Quando parliamo di beni immobili siamo subito portati a pensare alle imprese edili ovvero a coloro che edificano le nostre case, oppure agli architetti, geometri, ingegneri che progettano seguono i lavori e verificano che l’edificio venga realizzato secondo le regole della buona costruzione ed a regola d’arte.
Ma gli avvocati? Cosa c’entrano gli avvocati con i beni immobili? Ebbene anche gli avvocati entrano in gioco e hanno parecchio a che fare con i beni immobili.
Pensiamo per esempio al momento dell’acquisto della casa. Non sempre gli acquirenti o i venditori si rivolgono ad agenzie immobiliari, ma spesso gli stessi, in particolare gli acquirenti, si rivolgono direttamente al costruttore o ad un venditore privato. In questo caso è essenziale la figura dell’avvocato per la redazione dei contratti preliminari posto che quelli predisposti dalle imprese sono evidentemente redatti dalla stesse e per loro propria natura necessariamente sono più tutelanti della figura del venditore piuttosto che dell’acquirente.
L’avvocato avrà preventivamente effettuato nell’interesse dei propri clienti le visure e le ispezioni ipotecarie per verificare che l’immobile sia libero da trascrizioni pregiudizievoli delle quali potrebbero poi essere chiamati a rispondere i neo acquirenti.
Dovrà poi verificare che il rogito redatto dal notaio sia corretto, contenga tutte le clausole essenziali per i nostri clienti e sia privo di errori…purtroppo anche i notai commettono errori spesso poi causa di difficili e onerose procedure per porre rimedio agli stessi.
Ma la casa o l’appartamento può essere acquistato anche solo per mettere lo stesso a reddito e,conseguentemente, l’avvocato provvede alla redazione del contratto di locazione e, si badi bene, non un contratto standard, di quelli facilmente reperibili su internet, ma un contratto redatto come un abito sartoriale costruito su misura sulla base delle esigenze e necessità del cliente.
Se poi sei fortunato perché hai un grande patrimonio immobiliare oppure perché ti sei trasferito in altra località magari a goderti i frutti di una vita di lavoro e non hai tempo di seguire i rapporti con i conduttori noi possiamo farlo per te o per i tuoi conoscenti gestendo le locazioni inviando lettere ai conduttori per ricordare loro le scadenze dei ratei, inviando solleciti in caso di ritardo nei pagamenti e, nei casi più gravi, eseguendo lo sfratto nei confronti di chi rimane moroso, consentendoti di rientrare nel minor tempo possibile nella disponibilità del tuo bene.
L’avvocato svolge un ruolo importante anche nel condominio.

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Il caso più frequente è l’impugnativa di una delibera assembleare che leda i tuoi diritti.
Può, inoltre, rappresentarti in assemblea, può far valere le tue ragioni nei confronti di un amministratore che magari non dà giusto valore alle tue richieste o non fa applicare correttamente il regolamento di condominio.
Ancora l’avvocato è essenziale insieme ai tecnici per far rilevare eventuali vizi e/o difetti costruttivi che non solo diminuiscono il valore del tuo immobile ma che a volte lo rendono addirittura non abitabile.
Noi svolgiamo un ruolo rilevante anche nelle procedure esecutive immobiliari quali delegati dai Giudici alla vendita di beni pignorati.
Ma in questo specifico settore rivestiamo anche altre e diverse mansioni. Difendiamo per esempio i debitori nei confronti della aggressione al bene immobile operato dai creditori (generalmente istituti di credito) per trovare per esempio un accordo di saldo e stralcio che eviti che la tua casa vada all’asta e tu perda il tuo bene primario.
D’altra parte ci capita spesso di essere anche dalla parte avversa ovvero quella dei creditori e, quindi, vederci costretti ad intraprendere procedure esecutive volte a consentire ai nostri clienti di recuperare il proprio credito.

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In queste settimane poi siamo stati contattati molte volte e con sempre maggiore frequenza sia da privati che da imprese e amministratori di condomini per dare assistenza nel disbrigo delle pratiche riguardanti la complessa materia del famosissimo ormai eco bonus 110%. Anche questa materia ci ha consentito e ci sta consentendo di dare soddisfazione ai nostri assistiti ai quali offriamo consulenza spiegando le norme, cercando eventuali soggetti seri interessati ad acquistare il credito di imposta in modo da poter accedere ed eseguire i lavori a costo zero o comunque con costi irrisori rispetto alla globalità degli importi in gioco. Nello specifico redigiamo i contratti di appalto ed eventualmente di subappalto, nonché quando possibile quelli di cessione del credito.

In estrema sintesi, quindi, anche noi contribuiamo con la nostra opera ad aumentare il valore di mercato dei nostri beni e a portare all’abbattimento dei consumi di energia elettrica e gas, con ripercussioni favorevoli non solo per i soggetti interessati ma per l’intera collettività in quanto un immobile meno energivoro è un immobile meno inquinante e quindi produttore di minori emissioni nocive favorendo un miglioramento della qualità dell’aria e della vita di tutti noi.

 

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Avv. Corrado Demolli

 

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- È lecito il regolamento condominiale di natura contrattuale che prevede il divieto di tenere cani in condominio

È quanto sancito recentemente dal Tribunale di Lecce, il quale, con la sentenza n. 2549 del 15 settembre 2022, ha affermato che l’ultimo comma dell'articolo 1138 c.c. – in virtù del quale le norme del regolamento non possono vietare di possedere o detenere animali domestici – inerisce i soli regolamenti condominiali di natura assembleare. I regolamenti contrattuali possono, invece, legittimamente derogare a tale disposizione, poiché accettati da tutti i condomini e conseguentemente idonei a limitare le facoltà connesse al diritto di proprietà esclusiva.

 

- È valida la delibera assembleare che assegna un posto auto riservato, tra quelli esistenti all'interno dell'area condominiale destinata a parcheggio, ad un condomino afflitto da una grave disabilità motoria.

Secondo il Tribunale di Roma (Sez. V, Sent., 27/07/2022, n. 12021), la delibera con cui la compagine condominiale riserva ad un condomino affetto da disabilità un particolare posto auto non determina la costituzione di diritti reali del singolo sulle parti comuni, ma semplicemente individua una specifica modalità di utilizzo dello spazio comune.

È, pertanto, evidente come la predetta decisione sia assolutamente conforme all’art. 1102 c.c. e garantisca altresì la piena osservanza del dovere di solidarietà nonché il totale rispetto del diritto inviolabile ad una normale vita di relazione e del diritto alla salute del condomino, entrambi preminenti rispetto al diritto di comproprietà degli altri membri della compagine condominiale.

 

- Si possono comunicare pubblicamente i nomi dei condomini morosi?

L’amministratore di Condominio non è legittimato a comunicare pubblicamente i nominativi dei condomini morosi. Difatti, per costante orientamento della Cassazione, l’amministrazione incorre addirittura in responsabilità penale qualora renda noti i nominativi dei condomini morosi tramite mezzi accessibili ad una pluralità di persone, anche estranee alla compagine condominiale (ad esempio, tramite la pubblicazione su di una bacheca all’ingresso dell’immobile), a prescindere dall’uso di espressioni ingiuriose.

 

- Condomini favorevoli e contrari: è necessario indicare i loro nominativi nel verbale?

Seppur il legislatore non abbia specificato in alcuna disposizione quali siano i contenuti obbligatori del verbale assembleare, è ormai pacifico che tale documento debba contenere, rispetto ad ogni singola votazione, la specificazione dei nominativi dei singoli condomini favorevoli o contrari e le loro quote millesimali; è, invece, sufficiente l’indicazione dei soli comproprietari che si sono astenuti o dichiarati contrari nonché il valore complessivo delle quote millesimali di cui gli uni e gli altri sono portatori, laddove all’inizio del verbale sia riportato un elenco di tutti i condomini presenti, personalmente o per delega, con i relativi millesimi.

Tali elementi sono, difatti, necessari per consentire, in primis, la verifica dell’“esistenza della maggioranza prescritta dall’art. 1136, commi 2, 3, e 4 c.c., ai fini della validità della delibera”; “tale indicazione è inoltre necessaria in relazione al potere di impugnativa della delibera, riservato ai soli condomini assenti o dissenzienti ed alla verifica di eventuali situazioni di conflitto di interessi” (cfr., ex multis, Trib. Milano, 08/11/2011, n. 13255).

 

 

Dott.ssa Mariachiara Ceriani

 

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19 marzo 2021 
La risoluzione del contratto di locazione avviene quando il rapporto tra le parti si interrompe prima della naturale scadenza, ossia prima della scadenza fissata nel contratto stesso.
Il caso più semplice riguarda la situazione in cui entrambe le parti siano interessate alla risoluzione anticipata e consensuale del contratto.
Così come avviene al momento della conclusione dell’accordo circa la locazione di un bene, analogamente, sebbene non ci siano particolari vincoli di legge, anche la risoluzione consensuale di un contratto di locazione, è importante che avvenga in forma scritta e che venga registrata presso lo stesso ufficio dove è avvenuta la registrazione del contratto, utilizzando l'apposito modello RLI debitamente compilato.
Viceversa più complessa la situazione in cui solo una delle parti, ovvero locatore o conduttore, abbiano necessità di porre fine al contratto prima della naturale scadenza. In tal caso bisogna procedere con la risoluzione anticipata del contratto di locazione.
Fondamentali importanti informazioni circa la risoluzione del contratto di locazione vengono fornite innanzitutto dall'Agenzia delle Entrate, che precisa quanto segue: "Si parla di risoluzione del contratto se il rapporto tra le parti è interrotto prima della scadenza naturale".
In relazione alla posizione del conduttore, l'articolo 3 della legge sulla locazione abitativa (legge n. 431/1998) così dispone: "Il conduttore, qualora ricorrano gravi motivi, può recedere in qualsiasi momento dal contratto, dando comunicazione al locatore con preavviso di sei mesi". Quindi, effettuando una comunicazione al locatore con un preavviso di sei mesi, in presenza di gravi motivi, il conduttore può recedere in qualsiasi momento dal contratto, indipendentemente da previsioni diverse o addirittura contrarie previste nello stesso contratto.
Più articolato il recesso del locatore.
Ed invero sempre secondo quanto previsto dall'articolo 3 della legge sulla locazione abitativa sopra meglio indicata, alla prima scadenza del contratto il locatore può avvalersi della facoltà di diniego del rinnovo del contratto, dandone comunicazione al conduttore con preavviso di almeno sei mesi, ma sono necessari motivi specifici e tassativi che qui di seguito riporto:
• il locatore intende destinare l'immobile ad uso abitativo, commerciale, artigianale o professionale proprio, del coniuge, dei genitori, dei figli o dei parenti entro il secondo grado;
• il locatore, persona giuridica, società o ente pubblico o comunque con finalità pubbliche, sociali, mutualistiche, cooperative, assistenziali, culturali o di culto intende destinare l'immobile all'esercizio delle attività dirette a perseguire le predette finalità e offre al conduttore altro immobile idoneo e di cui il locatore abbia la piena disponibilità;
• il conduttore abbia la piena disponibilità di un alloggio libero e idoneo nello stesso comune;
• l'immobile sia compreso in un edificio gravemente danneggiato che deve essere ricostruito o del quale deve essere assicurata la stabilità e la permanenza del conduttore sia di ostacolo al compimento di indispensabili lavori;
• l'immobile si trovi in uno stabile del quale sia prevista l'integrale ristrutturazione, ovvero si intenda operare la demolizione o la radicale trasformazione per realizzare nuove costruzioni, ovvero, trattandosi di immobile sito all'ultimo piano, il proprietario intenda eseguire sopraelevazioni a norma di legge e per eseguirle sia indispensabile per ragioni tecniche lo sgombero dell'immobile stesso;
• quando, senza alcuna legittima successione nel contratto, il conduttore non occupi continuativamente l'immobile senza giustificato motivo;
• il locatore intenda vendere l'immobile a terzi e non abbia la proprietà di altri immobili ad uso abitativo oltre a quello eventualmente adibito a propria abitazione (in tal caso al conduttore è riconosciuto il diritto di prelazione, da esercitare con le modalità di cui agli articoli 38 e 39 della legge 27 luglio 1978, n. 392).
Ricordo infine come la risoluzione del contratto di locazione comporti dei costi, rappresentati dall'imposta di registro, in misura fissa, da versarsi, così come spiegato dalla stessa Agenzia delle Entrate, entro 30 giorni dalla data della risoluzione.
E' poi importante rilevare come nell’eventualità di risoluzione del contratto di locazione ed i locatori abbiano optato per il regime della cedolare secca, sia prevista l’esenzione dall’obbligo di pagamento dell'imposta di registro. Rimane, però, necessario comunicare la risoluzione del contratto di locazione all'ufficio in cui il contratto stesso è stato registrato.

 

Avv. Corrado Demolli

 

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Lo scorso 28 luglio, il Consiglio dei Ministri ha varato la bozza di decreto legislativo recante l’attuazione della legge delega di riforma del processo civile (L. 206/2021).

Gli obiettivi, delineati in modo chiaro ed esplicito nel primo comma dell’art. 1 della legge delega, si pongono in linea con gli impegni assunti dall’Italia nei confronti dell’Unione Europea nell’ambito del PNRR: semplificazione, speditezza e razionalizzazione del processo civile, al fine di ridurre del 40% i tempi dei procedimenti, senza, però, pregiudicare la garanzia del contraddittorio.

Gli interventi di riforma – destinati ad acquistare efficacia entro il secondo trimestre del 2023 – hanno riguardato anche le liti condominiali, che, negli ultimi anni, hanno assunto proporzioni rilevanti.

In particolare, le misure introdotte al fine di snellire tale tipologia di contenzioso sono due.

La prima inerisce il procedimento di mediazione, istituto che, introdotto con il D.lgs. n. 28/2010, mira a ridurre il flusso di cause in ingresso nel “circuito giustizia”, offrendo al cittadino uno strumento più semplice e rapido per la risoluzione delle controversie.

Imposta come condizione di procedibilità, la mediazione in materia condominiale costituisce un’importante “fetta” (nel primo trimestre del 2022, ben l’11%) dei procedimenti che vengono avviati avanti gli organi di mediazione e, pertanto, un ambito rilevante in cui intervenire onde perseguire le finalità di semplificazione e speditezza proprie della “Riforma Cartabia”.

Ed invero, è evidente come le modifiche apportate alla disciplina applicabile all’amministratore di condominio siano volte proprio a rendere più efficiente la relativa partecipazione al procedimento in esame, semplificando le regole fino ad oggi dettate dall’art. 71-quater disp. att. c.c.

Difatti, il novello articolo 5-ter del D.lgs. n. 28/2010, rubricato “Legittimazione in mediazione dell’amministratore di condominio”, è stato introdotto al fine di permettere all’amministratore di attivare un procedimento di mediazione, aderirvi e parteciparvi, sottoponendo all’approvazione dell’assemblea, a seconda dei casi, il solo verbale contenente il testo dell’accordo di conciliazione individuato dalle parti o la proposta conciliativa del mediatore.

La compagine condominiale dovrà quindi manifestare la propria volontà – con le maggioranze previste dall’art. 1136 c.c. – esclusivamente in merito alla proposta di accordo finale e non più rispetto ad ogni passaggio della procedura.

Il secondo intervento in materia condominiale ha, invece, riguardato la disciplina della sospensione dell’esecuzione delle delibere condominiali: il legislatore ha difatti sancito che, laddove la sospensione delle decisioni dell’assemblea sia stata ottenuta in sede cautelare, l’eventuale mancata instaurazione o estinzione del giudizio di merito non determini l’inefficacia del predetto provvedimento cautelare.

Il perseguimento della finalità di deflazione del contenzioso è, anche in tal caso, evidente: come specificato nella relazione illustrativa del decreto, infatti, molto spesso, l’attore, dopo avere ottenuto il provvedimento cautelare con il quale è stata disposta la sospensione dell’esecuzione della deliberazione, “non ha un reale interesse alla decisione di merito diverso da quello costituito dalla necessità di ‘stabilizzare’ gli effetti della decisione cautelare”.

Orbene, con tale modifica si vorrebbe evitare un’inutile duplicazione dell’accertamento giudiziale, dando per presupposto che il condomino istante non sia portatore di alcuna ulteriore domanda.

In realtà, tale intervento sembra aver trascurato le numerose statuizioni – ripristinatorie, restitutorie e risarcitorie – a cui il condomino spesso ambisce e dallo stesso ottenibili solo in sede di giudizio di merito.

Parimenti, le eventuali – ma assai frequenti – resistenze del condominio possono costituire un rilevante ostacolo al perseguimento della finalità di deflazione: poiché la riforma mantiene ferma la facoltà di ciascuna parte di instaurare il giudizio di merito, il condominio, soccombente nel procedimento cautelare, potrebbe, difatti, voler promuovere la cognizione ordinaria onde tentare di ottenere una differente risoluzione della controversia.

 

Dott.ssa Mariachiara Ceriani

 

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01 febbraio 2021 

In tema di morosità condominiale, il legislatore ha preferito non intervenire, benché la problematica sia di assoluta rilevanza e necessiti di misure calibrate e incisive che tengano conto delle diverse sfaccettature del fenomeno.
Ed invero, ad oggi l’art. 63 bis del D.L. n. 104/2020 ha soltanto sospeso il termine di cui al numero 10) dell’art. 1130, comma 1 c.c. sino alla conclusione dello stato di crisi ipotizzata dal Consiglio dei Ministri; il che si traduce nella possibilità per l’amministratore di posticipare la presentazione del rendiconto rispetto ai canonici 180 giorni dalla scadenza dell’esercizio, senza, tuttavia, nulla disporre con riguardo al termine semestrale entro cui l’amministratore deve avviare il recupero del credito condominiale ai sensi dell’art. 1129 comma 9 c.c., che decorre dalla scadenza dell’esercizio e non dal momento in cui il rendiconto è approvato (Trib. Reggio Emilia, n. 440/2016).
Pacifico che gli oneri condominiali debbano essere approvati dall’assemblea per poter essere escussi (art. 63 disp. att. c.c.), il mancato intervento del legislatore sul punto ha portato alla paralisi gestionale di tutto l’universo condominiale.
Dal punto di vista del condomino moroso, non esiste alcuna disposizione che valga quale esimente dall’obbligo di contribuzione degli oneri condominiali, come espressamente ed inderogabilmente sancito dagli artt. 1118 e 1123 c.c.
Peraltro, la liquidità costituisce presupposto imprescindibile altresì per far fronte alle nuove spese ed esigenze imposte dall’emergenza sanitaria (es. sanificazione dei locali), ovvero per accedere alle nuove misure introdotte dal Governo (es. “Superbonus 110%”).
Ancora, giova rilevare come nella situazione attuale risulti ancor più difficoltoso altresì agevolare il condomino moroso, laddove l’amministratore per prassi diffusa tende a concedere rateizzazioni onde evitare azioni giudiziali con aggravio di spese a carico del condomino, purché vi sia il benestare dell’assemblea.
Ciò in quanto l’amministratore è un organo esecutivo il cui rapporto con il condominio è assimilabile al mandato con rappresentanza, dal che non è possibile addivenire ad alcun accordo senza l’autorizzazione dell’assemblea (Trib. Milano, n. 5021/2017; Trib. Roma, n. 17363/2019).
Inutile dire come le difficoltà e/o impossibilità nella convocazione dell’assemblea causate dal Covid-19 abbiano limitato fortemente tali possibilità.
A livello giudiziale, nessuna norma emergenziale ha mai impedito all’amministratore di dare impulso all’azione di recupero del credito, mediante il decreto ingiuntivo di cui all’art. 63, comma 2 disp. att. c.c., che non necessita del previo consenso dell’assemblea (Cass. civ. n. 27292/2005).
L’unica disposizione degna di pregio è l’art. 4 del D.L. n. 137/2020 (c.d. Decreto Ristori) che ha prorogato sino al 31.12.2020 la sospensione delle espropriazioni immobiliari già prevista dall’art. 54 ter del D.L. n. 18/2020 (convertito con la legge n. 27/2020), poi ulteriormente prorogato al 30.06.2021 dal c.d. Decreto Milleproroghe.
Trattasi di misura che opera esclusivamente per le “abitazioni principali”, e non altresì per i locali commerciali o gli immobili concessi in locazione, ad uso abitativo e non abitativo.
Precisato quanto sopra, permangono forti perplessità con riguardo alla documentazione da produrre a corredo del ricorso per decreto ingiuntivo, laddove l’art. 63 disp. att. c.c. richiede espressamente “lo stato di ripartizione dei contributi approvato dall’assemblea” e l’emergenza sanitaria in corso continua ad impedire nella maggior parte dei casi la convocazione delle assemblee condominiali onde poter ottenere le delibere di approvazione del consuntivo e del preventivo condominiali, nonché dei relativi riparti.
La Suprema Corte di Cassazione ha da sempre precisato come l’amministratore sia legittimato a chiedere l’emissione del decreto ingiuntivo per i contributi dovuti dai condomini non solo in base allo stato di ripartizione approvato dall’assemblea, “ma anche in base a prospetti mensili delle spese condominiali non contestati, ma in questo secondo caso non può ottenere la clausola di provvisoria esecuzione” (cfr. Cass. n. 1585/1973).
Peraltro, nella prassi diffusasi a causa del Covid-19 i bilanci condominiali vengono regolarmente trasmessi ai singoli condomini, i quali hanno comunque la possibilità di sollevare ogni eventuale obiezione.
Va da sé che in mancanza di osservazioni e/o contestazioni, i bilanci condominiali debbano intendersi approvati dai diretti interessati, con la conseguenza che la suddetta documentazione (bilanci condominiali e relativa trasmissione ai singoli condomini) non potrà che essere considerata equipollente a quella richiesta dall’art. 63 disp. att. c.c.
Ci auguriamo che nelle prossime settimane si possano formare i primi orientamenti giurisprudenziali in materia, onde consentire la ripresa della corretta gestione condominiale.

 

Avv. Giorgia Colombo

 

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21 giugno 2021

Con la conversione in legge del D.L. 22 marzo 2021 n. 41, recante "Misure urgenti in materia di sostegno alle imprese e agli operatori economici, di lavoro, salute e servizi territoriali, connesse all'emergenza da COVID-19" (Legge 21 maggio 2021, n. 69 - G.U. 21 maggio 2021, n. 120), il legislatore emergenziale ha ritenuto ancora necessario prorogare il blocco del rilascio degli immobili a seguito dell'emissione di provvedimento per accertata morosità o a seguito di decreti di assegnazione nell'ambito di procedure esecutive.
Da oltre un anno si assiste alla proroga del blocco degli sfratti, ad onta delle molteplici voci, giurisprudenziali e dottrinali, che segnalano le criticità sul piano della legittimità costituzionale della suddetta misura.
Trattasi al riguardo di misura che è stata tra le prime ad essere adottata e che, a differenza di altre, nel tempo mitigate o eliminate, è sempre stata temporalmente reiterata:
a) è stata assunta, per la prima volta con l'art. 103, 6° comma, del D.L. 17 marzo 2020, n. 18, con efficacia sino al 30 giugno 2020;
b) è stata differita al 1° settembre 2020 in sede di conversione con la promulgazione della Legge 24 aprile 2020, n. 27;
c) è stata nuovamente posticipata al 31 dicembre 2020 con l'emanazione dell'art. 17, comma 1°-bis, del D.L. 19 maggio 2020, n° 34, convertito dalla Legge 17 luglio 2020, n° 77;
d) è stata ulteriormente rinviata sino al 30 giugno 2020 dall'art. 13, 13° comma, del D.L. 31 dicembre 2020, n. 183.
Inizialmente l’inibitoria investiva l'esecuzione di tutti i provvedimenti giudiziali di rilascio, indipendentemente dalla ragione per cui fosse stato chiesto e ottenuto dall'attore, nonché tutte le tipologie di beni, senza distinzione alcuna tra immobili a destinazione residenziale, commerciale e alberghiera.
L'ultima dilazione, invece, è limitata "…ai provvedimenti di rilascio adottati per mancato pagamento del canone alle scadenze e ai provvedimenti di rilascio conseguenti all'adozione, ai sensi dell'articolo 586, secondo comma, del codice di procedura civile, del decreto di trasferimento di immobili pignorati ed abitati dal debitore e dai suoi familiari…" con un disallineamento temporale del blocco.
Sono, difatti, prorogati i termini con la seguente scansione:
a) fino al 30 settembre 2021 per i provvedimenti di rilascio adottati dal 28 febbraio 2020 al 30 settembre 2020;
b) fino al 31 dicembre 2021 per i provvedimenti di rilascio adottati dal 1° ottobre 2020 al 30 giugno 2021.
La legislazione d'urgenza pare ispirata dalla logica di trasferire sui privati (in ipotesi) dotati di solidità patrimoniale una serie di costi sociali che, nella naturale configurazione del cd. welfare state apparterrebbero alla naturale competenza degli enti pubblici.
Tuttavia, è evidente che tali misure non possano aggirare, in nome della solidarietà sociale, precetti di natura costituzionale posti a tutela di tutte le categorie sociali.
In modo particolare, vengono indebitamente compressi, anche secondo la giurisprudenza:
a) la libertà di iniziativa economica privata (art. 41 Cost.);
b) il diritto del soggetto espropriato a un indennizzo (cfr. art. 42, 3° comma, Cost.);
c) la tutela del risparmio (cfr. art. 47 Cost.);
d) il giusto processo regolato per legge (art. 111 Cost.).
Trattasi di scelte volte a tutelare i soli debitori che siano venuti a trovarsi in una situazione di morosità incolpevole a causa dell'epidemia, senza, tuttavia, considerare che i processi esecutivi sospesi ope legis scaturiscono altresì da inadempimenti verificatisi in un'epoca in cui il Covid-19 non era nemmeno comparso e, dunque, non aveva provocato alcuna perdita occupazionale.
E risulta contraria ad ogni criterio di equità la pretesa di trasferire le difficoltà (comprensibili o meno) dell'obbligato su altri privati e, paradossalmente, proprio su quei creditori che dagli inadempimenti commessi dal primo sono vittime.
In attesa di ulteriori misure, si resta a disposizione per ogni necessità e/o chiarimento.

 

Avv. Giorgia Colombo

 

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29 gennaio 2021

Il Decreto-Legge 31.12.2020, n. 183 (c.d. Decreto Milleproroghe) ha prorogato la sospensione dell’esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili fino al 30 giugno 2021.
Ed invero, l’art. 13 comma 13 del Decreto Milleproroghe prevede che: “La sospensione dell'esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili, anche ad uso non abitativo, prevista dall'articolo 103, comma 6, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, è prorogata sino al 30 giugno 2021 limitatamente ai provvedimenti di rilascio adottati per mancato pagamento del canone alle scadenze e ai provvedimenti di rilascio conseguenti all'adozione, ai sensi dell'articolo 586, comma 2, c.p.c., del decreto di trasferimento di immobili pignorati ed abitati dal debitore e dai suoi familiari.”
Esaminando la suddetta disposizione, giova rilevare come la sospensione riguardi i provvedimenti di rilascio di tutti gli immobili (anche ad uso non abitativo), purché: i) la procedura sia stata avviata a causa del mancato pagamento dei canoni di locazione (sfratto per morosità); ii) il provvedimento sia stato emesso in seguito al decreto di trasferimento di immobili (ex art. 585 comma 2 c.p.c.) nelle procedure esecutive immobiliari e l’immobile sia ancora abitato dal debitore e dai suoi familiari.
Quanto ai locatori, già fortemente penalizzati dalle misure ad oggi adottate dal Governo a tutela dei conduttori, considerati soggetti deboli, vedranno i propri diritti ulteriormente limitati, in attesa che decorra il termine di sospensione indicato dal Decreto Milleproroghe.
Ed invero, i proprietari di immobili, al momento, potranno soltanto avviare la procedura volta a ottenere la convalida dello sfratto per morosità (notifica dell’atto di citazione), presenziare all’udienza che sarà tenuta avanti al Giudice del Tribunale competente, chiedendo e ottenendo la convalida dello sfratto, nonché procedere con le successive attività prodromiche all’esecuzione vera e propria, che rimarrà sospesa sino al 30 giugno 2021.
Solo in data successiva al 30 giugno 2021 sarà possibile procedere con la notifica del preavviso ex art. 608 c.p.c. e, pertanto, avviare l’esecuzione forzata prevista dalla legge nei casi di mancata liberazione spontanea degli immobili.
Prima di concludere si segnalano le ipotesi escluse dal Decreto Milleproroghe.
Saranno consentiti: i) il rilascio di immobili a seguito di decreto di trasferimento nei casi in cui l’immobile sia detenuto senza titolo, non rientrando tale ipotesi nel disposto dell’art. 13 sopra richiamato che richiede che l’immobile sia abitato dal debitore e dai suoi familiari; ii) il rilascio per la finita locazione a seguito di sentenza, provvedimento d’urgenza e locazione stagionale per scadenza del termine contrattuale.
Da ultimo, si precisa come la convalida dello sfratto consenta, in ogni caso, al locatore di risolvere il contratto non soltanto con il conduttore moroso, bensì con l’Agenzia delle Entrate.

 

Avv. Giorgia Colombo

 

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